Geopolitica da viaggio – Nepal 2023
Ritorniamo in Mustang, nell’Alto Mustang, dopo quattro anni: fu nell’era pre-covid, nel 2019, che si risalì faticosamente la valle da Pokhara a Jomsom, poi Lo Mantang, fino al nuovissimo confine cinese al Kora Pass (Kora La), il più basso passo di transito tra Cina e Nepal (4660m).
In quattro anni sono cambiate molte cose: il covid ha fermato mezzo mondo, ma là dove il mondo non si è fermato le cose sono andate avanti, anche di corsa. Per inciso, i dati WHO da gennaio 2020 a giugno 2023 denunciano un 1M di casi con 12K morti di covid, su una popolazione di 30M in Nepal (medesima fonte per l’Italia: 26M con 190K morti, su una popolazione di 60M).
In Alto Mustang, dunque, le cose sono cambiate ma non si sono fermate.
In particolare: il turismo si è fermato, la costruzione delle strade è stata accelerata, la penetrazione cinese ha avviato nuove strategie.
Restando nell’ambito delle riflessioni di viaggio, e non di un saggio di geopolitica, mi limito a riportare alcune informazioni e osservazioni raccolte.
Il turismo
Nell’arco di tre settimane, i turisti occidentali si contano (noi esclusi) su una mano: quattro camminatori francesi sulla strada di Lo Mantang, qualche paio nelle cittadine dell’Alto Mustang. L’assenza dei viaggiatori colpisce già a Pokhara, dove il lungo lago è vuoto, il passeggio è solo “dei locali”, negli alberghi ci siamo ritrovati generalmente da soli, i ristoranti sono vuoti, così i negozi.
Risalendo il Mustang l’apprezzabile, ma per noi, solitudine del viaggiatore si accentua. Nel 2019 la situazione era ben diversa, tanto che Pokhara non sembra quella cittadina dedicata al divertimento sportivo per turista occidentale adulto, che la caratterizzava da anni. L’era post Covid si manifesta chiaramente in una mancata ripresa dei circuiti “leisure” del turismo, quelli che portavano reddito e un poco di benessere. Ma anche relazioni e conoscenza reciproca.
Le strade
Considerato lo stato della sicurezza dei voli, anche in questo secondo viaggio abbiamo evitato il tragitto aero tra Pokhara e Jomsom. Nel 2019 la ragione fu il cattivo tempo, che ci costrinse a muoversi per strada fino a Lo Mantang e, poi, rientrando fino a Pokhara e da qui a Katmandu. Nel 2023, la ragione è stata dettata dalla prudenza, accompagnata da un tempo di permanenza adeguato, limitando il volo da KTM a POK, e ritorno.
Dopo questi due viaggi posso affermare che sulle strade si è fatto tanto: le 15 ore di jeep del 2019, tra frane e ponti caduti, fino a Jomsom sono diventate la metà. Ma questo grazie anche a delle condizioni atmosferiche più favorevoli, con un monsone non ancora palesato.
Indubbiamente la strada che porta dall’ingresso della Annapurna Conservation Area (ACA) a Lo Montang, e al confine, è drasticamente migliorata: ampi tratti asfaltati prima di Jomsom e poi, quasi sempre, una strada a doppia carreggiata, di acciottolato duro e scomodo ma relativamente sicuro, che si inerpica sui vari passi.
Restano alcuni colli di bottiglia, là dove sono in costruzione i ponti, ma il miglioramento di questi quattro anni è sperimentabile ed evidente. Infatti, un camion scarico scende da Lo Mantang a Pokhara in un giorno e ritorna alla capitale, avendo caricato per mezza giornata, per il terzo giorno. Le jeep fanno il medesimo percorso A/R in due giorni. In conclusione: la parte alta della camionabile, fino al confine cinese, ha avuto una accelerazione nella costruzione e, oggi, è facilmente percorribile.
Probabilmente, nel giro di un paio d’anni (tempo atmosferico permettendo a quelle quote) sarà una via di transito frequentabile senza problemi. Paradossalmente, la parte in bassa valle è la più disastrata, da dopo il bivio per Baglung, mano a mano si sale, la strada si deteriora, è interessata da lavori che non sono certamente facili (anche per la diversa orografia di queste zone) e che hanno necessità di tempo per essere realizzati.
Conclusione evidente: la carrozzabile resterà scomoda e difficile a lungo nel collegamento tra il Mustang e la sua capitale amministrativa regionale, Pokhara, al contrario sarà facile e “quasi comoda” verso est, verso la Cina.
Il sogno cinese
Allora arrivammo fino al cippo di confine, al limite della recinzione oltre la quale il silenzio di un grande casermone con la bandiera rossa: si tratta di un confine storico tra l’antico Regno di Lo (il Mustang) e il Tibet, due aree caratterizzate dal medesimo gruppo etnico, che apre le porte al commercio con il Nepal: allora soprattutto sale, nel futuro la via al “benessere cinese”.
Quest’anno ci dicono che non si può percorrere quella medesima strada verso la Cina e, sulle creste delle montagne cinesi svettano alcune alte torri che mi si dice siano per la sorveglianza: se ne vedono due, ben chiare, a circa 2km dal passo, alla sua sinistra e destra.
Se noi non possiamo avvicinarci, la popolazione locale è invitata a farlo usufruendo di permessi temporanei. La narrazione che raccogliamo, sulle gite dall’altra parte, ha a che fare con commercio e, soprattutto, con i “festival”. Si descrive di una cittadina, sorta dietro al posto di confine, che orami è più grande di Lo Mantang (un centinaio di abitazioni contro l’ottantina) con una particolare predilezione per feste e divertimenti, spesso in nome dell’amicizia tra i due paesi, alle quali partecipano i tibetani nepalesi, tra un affare e l’altro.
E’ una probabile strategia di attrazione alla condivisione dei costumi cinesi, per le popolazioni di montagna del Mustang, che sta lasciando il segno: la Cina, infatti, vorrebbe ufficialmente aprire il confine entro il 2023. Ma la richiesta ha acceso un certo dibattito tra chi vuole posticipare e chi, questi soprattutto i giovani, desidera la libertà di passaggio.
D’altra parte, oltre questa piccola città, si apre l’altipiano tibetano, ben distanti sono altri poli di attrazione pertanto la frequentazione fraterna sembrerebbe limitata a questa offerta locale ma con il risultato di spalancare formalmente una porta allo scambio economico che prende di mira il Mustang e alla cinesizzazione della regione. Si tratta di una strategia non molto dissimile da quella che ha portato alla riconquista del Tibet, riassorbito dalla Cina per mezzo del traffico commerciale e di quello turistico interno.
Tirare le somme
In quattro anni il Mustang non ha ancora cambiato faccia, ma è sulla strada per farlo: anzi, questa è ben tracciata perché la regione è sempre più scollata dai suoi legami politici e amministrativi. L’infrastruttura logistica dei trasporti è tutta favorevole al versante cinese e non a quello nepalese, pertanto è evidente che all’apertura del confine tutto il traffico graviterà verso la Cina. Mi stupisco a scriverlo, detestando di massima le strade, ma la risposta adeguata in questo momento sarebbe quella di affrettare la costruzione della strada nel tratto verso Pokhara, per rendere raggiungibile l’Alto Mustang con almeno la medesima facilità dal Nepal.
Il progetto rientra tra i National Pride Projects e riguarda la realizzazione del Kali Gandaki Corridor: in pratica una autostrada di circa 450km che dal Kora La raggiunge Sunauli, verso il confine con l’India, seguendo la valle del fiume Kali Gandaki per congiungere Cina e India attraverso il Nepal.
A me sembra che, stante il tempo per costruire l’intera infrastruttura, l’avanzata realizzazione in Alto Mustang, ben prima che favorire la relazione commerciale indo-cinese, sia di auspicio all’assorbimento della regione nell’area cinese tibetana.
A conferma di questa articolata strategia, il giorno della nostra partenza il nuovo aeroporto di Pokhara, costruito soprattutto con finanziamenti cinesi e inaugurato a gennaio 2023 come risultato della cooperazione per la Belt Road Initiative, diventa internazionale: accoglie un volo charter della Sichuan Airlines, il primo volo non nazionale che arriva in occasione del primo dragon boat race festival che vede otto equipaggi competere sul lago di Pokhara. Dieci rematori per imbarcazione: quattro equipaggi nepalesi, due equipaggi cinesi, uno equipaggio da Singapore e un equipaggio misto sino nepalese. Venerdì 23 giugno 2023, quando noi arrivavamo a Milano, a Pokhara si celebrava la grande amicizia tra Cina e Nepal, con un festival sul lago
Forse, potrebbe essere questo il primo obiettivo cinese: incorporare di fatto (assorbimento mercantile e culturale) il Mustang, vecchia sede degli ultimi oppositori combattenti alla occupazione del Tibet, nello Xizang, il nome ufficiale della regione tibetana per la Cina. Per il Dragone potrebbe già essere questa una adeguata, e paziente, rivincita nei confronti dei combattenti Khampa, dal 1959 supportati dalla CIA e poi abbandonati al loro destino nel 1974, sulla scia delle aperture di Nixon a Mao.
L’assimilazione culturale, come strumento dell’assorbimento, è una strategia tipica del soft power cinese, a cui si associa la costante offerta di beni materiali alle popolazioni: un mix di violenza e persuasione che può ottenere risultati e in cui, infrastruttura logistica e mobilità di beni e persone cinesi sono armi fondamentali.
Su questa linea, oggi diremmo della conquista di menti e di cuori, la narrativa propone l’apertura del confine e la strada quale opportunità per rendere disponibili ai fedeli buddisti e induisti alcuni luoghi di culto fondamentali.
Muktinath, a quota 3710 è chiamano dagli indù Mukti Kshetra, il “luogo di salvezza” ed è uno dei più antichi templi del dio Vishnu e della tradizione vaisnava in Nepal. Il santuario è considerato uno degli otto luoghi sacri conosciuti come Svayam Vyakta Ksetras. I buddisti chiamano Muktinath Chumming Gyatsa, “Cento acque”: per il buddismo tibetano è un luogo sacro alle divinità Dakini e anche uno dei principali luoghi tantrici. Inoltre, si ritiene che il sito sia una manifestazione di Avalokitesvara, il Bodhisattva della Compassione e della Virtù.
Il Monte Kailash, 6638m, che è sacro per l’antica religione Bod e dal Buddismo tibetano in quanto centro dell’universo e dall’induismo perché residenza di Shiva. I fedeli di entrambe le religioni sono chiamati, almeno una volta nella vita, al pellegrinaggio di oltre 50km attorno alla vetta.
Damodar Kunda, il lago sacro a buddisti e induisti e meta di pellegrinaggi.
Dunque, attraverso il passaggio cinese, tre dei principali luoghi di culto per induisti e buddisti diventerebbero facilmente raggiungibili, attraverso una via cinese: un gran vantaggio per tutti grazie alla Cina.
Torniamo con tanta incertezza, rispetto all’Alto Mustang che potremmo trovare tra qualche anno.
Ma anche con la convinzione che, la strada intrapresa, cioè quella di rafforzare l’identità locale delle comunità, affinché siano consapevoli del patrimonio di cultura, conoscenze, competenze e tradizioni di cui sono portatrici, è la strada giusta per promuovere la consapevolezza di “voler cercare il proprio posto”, senza necessariamente adeguarsi, nel complesso sistema di relazioni internazionali.
Marco